Operai a rischio
Le preoccupazioni maggiori sono per gli operai, con l’89% degli intervistati che ha espresso la propria incertezza sul futuro. Il valore si riduce all’85% per l’intera categoria dei lavoratori, un numero ancora altissimo, che è indice di un pessimismo diffuso.
Il 50% ritiene probabile che, per tenere testa alla “concorrenza” delle macchine, inizieranno a imporsi dei ritmi lavorativi più intensi. Questo porterebbe inevitabilmente a un incremento dello stress sul posto di lavoro e, di conseguenza, a una maggiore insoddisfazione da parte del dipendente.
Non stupisce quindi che secondo il 33% dei lavoratori e il 43% degli operai, le condizioni lavorative peggioreranno.
Si teme anche una riduzione degli stipendi. Questa paura è condivisa dal 70% dei lavoratori intervistati e dal 74% degli operai. Per il 58% c’è addirittura la certezza che in futuro si guadagnerà di meno.
I dati evidenziano anche come i guadagni siano ripartiti in maniera ineguale. Chi infatti lavora nei settori tecnologici ha introiti nettamente superiori rispetto a tutti gli altri. Si parla di guadagni mediamente doppi, segno di un mercato nuovo, vivace e che sembra avere ancora molto da dire.
Preoccupazioni come quelle esposte trovano terreno fertile in momenti come questo, mentre il coronavirus scatena il panico in tutto il mondo. Difficile non pensare alle fabbriche cinesi che vengono chiuse per paura dei contagi, contagi a cui macchine, robot e intelligenze artificiali sono immuni. Le aziende non nascono per distribuire ricchezze, ma per generare profitti. È chiaro quindi che i tempi andranno verso un cambiamento che metterà in ombra la componente umana. Questa continuerà probabilmente a restare necessaria, seppur in forme diverse.